Ieri sera, 29/2, abbiamo assistito in diretta alla comunicazione dei dati relativi al contagio in Italia. Riassumiamo gli elementi più rilevanti:
- la tendenza della letalità è stazionaria attorno al 2-2,5%;
- i soggetti critici sono stabili attorno al 7-8%
- il contagio è iniziato in quasi tutte le regioni;
- sono stati effettuati già 18.000 tamponi con test rapido.
Questi dati finora rilasciati ci descrivono un quadro di aggressività elevata, in cui il rapporto tra i pazienti critici (compresi i deceduti) e i contagiati si mantiene stabile ad ad un livello tra 8% e 10%, in linea con quello cinese, e descritto nello scenario da allarme rosso nel nostro precedente articolo (vedi).
Avevamo sperato che in Italia la letalità del virus fosse di gran lunga inferiore, confidando:
- che il numero di contagiati fosse molto più ampio di quanto rilevato inizialmente e
- che il virus avesse attenuato la sua aggressività;
INVECE:
- Il numero dei soggetti infetti non è molto più ampio dei soggetti critici, come dimostrato dall’alto numero di test condotti;
- Tra i pazienti colpiti vi è un certo numero di soggetti giovani o di mezza età.
- A scanso di clamorosi cambiamenti nei dati la tendenza pare confermata nella sostanza.
La quantità di pazienti critici rispetto ai contagiati pare quindi stabilizzata ad un livello minimo del 8%.
Sembra un numero contenuto, ma in realtà, osservando su larga scala, questo è il numero che ha mandato in tilt i pur organizzati ed efficaci servizi sanitari cinesi. Si avvicina pertanto il momento in cui vi sarà carenza di posti letto attrezzati per curare i malati; già in alcune zone della Lombardia la situazione è critica (vedi)
Dall’analisi di questi dati risulta evidente come l’unica forma potenzialmente efficace di lotta all’epidemia sia il contenimento dell’infezione per rallentare il numero di persone che via via necessiteranno di cure. La tendenza dell’epidemia sembra peraltro essere stata solo parzialmente contenuta dalle manovre messe in atto nei giorni scorsi.
Parrebbe che il virus sia circoscritto attorno ai focolai, anche se in quasi tutte le regioni si segnalano i primi casi, probabilmente frutto della fuga verso Sud dei lavoratori nel Nord Italia residenti nel Meridione, alle prime avvisaglie del pericolo.
Con il quadro dei dati attualmente in nostro possesso abbiamo cercato di fare una stima per capire entro quanto tempo, in assenza di ulteriori drastiche misure di contenimento e rallentamento del contagio, si svilupperebbe il quadro di sovraffollamento delle terapie intensive che avevamo paventato solo una settimana fa (vedi) e che torna ora attuale.
Con l’aiuto di una matematica e i consigli di un gruppo di colleghi abbiamo preparato una potenziale previsione di quanto potrebbe accadere (vedi).
Questa elaborazione prevede una potenziale necessità di più 1000 posti letto intensivi a fine marzo e quasi 3000 a fine aprile.
Risulta del resto che siano già in preparazione le manovre di aumento dei posti letto intensivi con l’allestimento di nuovi spazi per i malati critici e terapie intensive di emergenza attrezzate negli ospedali, oltre a due ospedali dedicati solo ai malati di Coronavirus, in Lombardia e Veneto, rispettivamente l’ex ospedale di Baggio, a Milano, e l’ospedale di Schiavonia, vicino a Padova.
Un’ultima nota riguarda la durata del ricovero in terapia intensiva dei pazienti con polmonite da Coronavirus, che pare sia ben più lunga del previsto: i dati preliminari raccolti dai medici che li hanno avuti in cura segnalano ventilazione invasiva molto prolungata prima di ottenere lo svezzamento dal respiratore. Dai dati raccolti dai medici sul campo stimiamo in 12-15 giorni il tempo di ventilazione meccanica per paziente critico.
Va da sè che le risorse non sono infinite, specialmente per i presidi di protezione per i lavoratori sanitari.
Urge mettere in atto misure di contenimento dell’infezione ancora più drastiche. La Cina ha già dato l’esempio, ora tocca a noi. L’Europa e gli Stati Uniti ci seguiranno a breve. Il resto del mondo resterà a guardare le nostre mosse. Noi italiani abbiamo il vantaggio di avere già cominciato a rendercene conto. Ora occorre passare all’azione.
Mentre gli ospedali si stanno attrezzando, c’è qualcos’altro che possiamo fare?
Molti mi chiedono spaventati come possono difendersi da questa minaccia. Ci dispiace dover ammettere che non esiste un sistema di barriera efficace. Solo un cambiamento radicale delle nostre abitudini personali e collettive può avere la meglio sul male.
Le strade sono due: o a chi tocca tocca oppure ci difendiamo tutti e tutti insieme. Non è per via di una sigaretta gettata a terra che il paese si riempie di spazzatura, ma se lo fanno tutt diventiamo una discarica!
Così non è che per qualcuno che non si attiene alle regole tutti si infettano. Ma se ciascuno di noi vuole trovare la scusa buona per non fare quello che deve allora si, sarà un “si salvi chi può”, trionfo dell’individualismo sulla solidarietà.
I numeri sono impietosi ed il virus è molto democratico non guarda in faccia nessuno può toccare a chiunque di noi.
Eppure, come già nel primo articolo, niente panico. Non è questo un ottimismo superficiale o artificiale. È la certezza che abbiamo delle cartucce dalla nostra parte
- Un sistema sanitario gratuito per tutti che e uno dei migliori al mondo
- Un popolo che nelle difficoltà ha sempre dimostrato di saper tirare fuori il meglio di sè.
Lo sappiamo che la nostra vita è complessa che lasciare a casa da scuola i figli è difficile che le baby sitter non sono la soluzione migliore perché rischiano di diffondere il virus da un bambino all’altro e poi i bambini agli adulti.
Proprio per questo ed ora più che mai non è il momento di sentirsi soli. Non è il momento delle soluzioni fai-da-te e di tentare di risolvere i problemi per conto proprio. Di rubare le mascherine negli ospedali convinti che ci possano difendere. Dobbiamo capovolgere il problema. È l’ora della solidarietà nazionale. Di darsi una mano reciproca nei condomini per gestire i figli, di riscoprire le relazioni con la persona della porta accanto che non avevamo mai approfondito.
Non è il momento di pensare alle difficoltà logistiche. Ai soldi che perderemo. Nella storia l’Italia si è sempre ripresa.
Se volete consentire che vostro nonno, vostra madre o il vostro collega o lo sconosciuto di fronte a voi abbia l’opportunità di avere il massimo del trattamento da un sistema sanitario che è per eccellenza uno dei migliori al mondo, dovete dargli il tempo di organizzarsi.
Non è il momento di chiedersi perché tutto questo è successo, cercare complotti o dare la colpa a qualcuno o guardare indietro a cosa abbiamo perso, ma quello di guardare avanti con fiducia al futuro che costruiremo!
È il tempo di reagire. La paura la mettiamo da parte solo togliendoci di dosso l’indifferenza e indossando la corazza della solidarietà. Trasformiamoci in tanti soldati romani disciplinati che con la formazione a testuggine uniti e compatti respingono il nemico.
Siamo d’esempio al mondo che ci guarda sgomento. Iniziamo noi per primi a reagire!
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Dott. Marco De Nardin