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COVID-19: perché anche i test più efficaci possono fallire

COVID-19: perché anche i test più efficaci possono fallire

Sia i tamponi per COVID-19, che cercano infezioni in atto, sia i test sierologici degli anticorpi, che identificano anche quelle passate, hanno problemi di accuratezza.

 

Gli scienziati della clinica di Cleveland hanno scoperto che uno dei test rapidi più popolari nel mercato americano ha dato esiti che non corrispondevano al vero. Circa il 15% dava infatti risultati negativi nonostante i soggetti fossero in realtà infetti. In più, in California uno studio ha rivelato che solo 3 di 14 test sierologici sono effettivamente affidabili.
Insomma, la situazione non è delle migliori in quanto a test disponibili per rilevare il coronavirus.

Alcuni funzionari sanitari americani danno la responsabilità di queste inefficienze alla fretta dovuta alla pressione del mercato, che chiedeva con insistenza mezzi per poter identificare gli infetti.

 

Proviamo ad entrare, anche se superficialmente, nella matematica di questo grande problema, per fare un po’ più di chiarezza.

 

Il difficile compromesso dietro i test per COVID-19

Il problema fondamentale è che anche i migliori test fanno fatica a individuare qualcosa di raro.

Nonostante la pandemia ad oggi conti più di un milione di contagiati, rimane una percentuale bassa della popolazione mondiale.
Per capire meglio, partiamo da alcuni concetti base.

In generale, i test vengono valutati su due parametri chiave: specificità e sensibilità.

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  • Sensibilità: probabilità che un test rilevi il suo obiettivo, in questo caso il virus. Se il test è molto sensibile riuscirà a individuare anche basse concentrazioni di virus, dando meno risultati falsi negativi;
  • Specificità: probabilità che il test non venga ingannato da qualcosa di diverso dall’obiettivo. Un test altamente specifico riesce a non confondere il vero obiettivo, il virus, con altre forme simili, e darà quindi meno esiti falsi positivi.

In genere è difficile ottenere un test che sia altamente specifico e al contempo sensibile: rendere un test più specifico può renderlo meno sensibile e viceversa!

Questo costituisce un bel problema quando si cerca di costruire un test affidabile.

 

La prevalenza della malattia influenza le possibilità di un risultato corretto del test

Chi viene sottoposto al tampone spesso deve convalidare il risultato con un ulteriore test, perché non sa bene come interpretare il risultato.
“Se sono positiva al tampone, ho quindi sviluppato gli anticorpi e sono immune?”. Questa domanda ha bisogno di diverse analisi successive prima di poter rispondere accuratamente.

Quello che è emerso è che l’esito di queste domande dipende non solo dall’accuratezza dei test, ma anche da questioni di tipo matematico, come ad esempio quante persone hanno contratto COVID-19 nell’area in cui si trova colui che ha fatto il test.

Come ben sappiamo, però, riuscire a stimare correttamente il numero di infetti in una data zona è proprio una delle sfide del momento, resa difficile per via dell’alto numero di asintomatici, a tutti gli effetti contagiosi. Possono essere fatte delle stime, ma quanto possiamo garantirne la sicurezza?

Un buon modo per minimizzare il rischio di errori è quello di testare un grande numero di persone: anche se alcuni risultati non sono corretti, statisticamente avremo un buon grado di accuratezza.

L’accuratezza del test e la prevalenza del virus in una popolazione possono essere legate insieme in una formula matematica nota come teorema di Bayes.

Ad esempio, potremmo chiederci se, dato un risultato positivo del test, qual è la probabilità che sia vero?

Fingiamo di avere un ipotetico test Covid-19 per gli anticorpi sensibile al 99 percento – il che significa che quasi tutte le persone con anticorpi verranno scoperte – e specifico al 99 percento, il che significa che quasi tutte le persone che non sono mai state infette produrranno un risultato negativo.

Se si esegue il test in un gruppo di 100 persone non infette, le probabilità dicono che uno di questi risulterà comunque positivo anche se non ha il virus. Al contrario, se testerai 100 persone che sono state infettate, è probabile che una di esse risulti negativa.

 

Ora supponiamo che il virus abbia un tasso di prevalenza dell’1 percento, quindi una sola persona su 100 ha sviluppato anticorpi. Se testate 100 persone a caso e ottenete un risultato positivo, qual è la possibilità che questa persona sia stata veramente infettata?

 

Allo stesso tempo, all’aumentare del tasso di prevalenza aumenta anche la probabilità di un risultato corretto. Se il 10 percento delle persone in una popolazione è infetto, un risultato positivo del test ha una probabilità superiore al 90% di indicare che gli anticorpi sono realmente presenti.

 

“A seconda che abbiamo il 2% o il 20% dei test positivi, c’è un’enorme differenza nella fiducia che diamo ai risultati positivi individuali”, ha dichiarato Zachary Binney, epidemiologo dell’Università di Emory. “Un po’ strano, lo so, ma è la verità.”

 

Per approfondire questo aspetto:

 

Come testare meglio

Considerazioni sui test

Per utilizzare e interpretare questi test in modo efficace, bisogna ricordare innanzitutto cosa sta rilevando il test. 

Con un test genetico, ad esempio il tampone, si sta rilevando il materiale genetico di un virus, non necessariamente il virus attivo stesso. Come hanno scoperto i ricercatori della Corea del Sud, il materiale genetico del virus può persistere anche dopo che l’infezione si è estinta, producendo un risultato falso positivo del test.

 

Un test sierologico invece cerca gli anticorpi, che svolgono un ruolo cruciale nella risposta immunitaria contro COVID-19.
Possono essere necessari diversi giorni affinché una persona infetta sviluppi anticorpi contro il virus SARS-CoV-2. Perciò, un risultato negativo non significa necessariamente che il virus non sia presente. D’altra parte, un test anticorpale positivo non significa sempre che sei immune, né significa che il virus è stato sconfitto.

L’interpretazione dei risultati è molto delicata, come si può ben capire da tutte le riflessioni riportate.

 

Infatti, con un test genetico la paura principale è che un falso negativo possa permettere la circolazione di qualcuno che diffonderà inconsapevolmente il virus. Ha quindi senso aumentare la sensibilità, che fornirà risultati più concreti con il compromesso che alcuni dei positivi potrebbero non essere corretti.

 

Invece, con un test sierologico sugli anticorpi un falso positivo potrebbe far vivere a qualcuno un senso di sicurezza per “essere sopravvissuto al virus”, e portare a comportamenti più rischiosi. Questi test dovrebbero essere dunque migliorati verso la specificità. In questo modo, avremmo meno probabilità di dire alle persone che hanno gli anticorpi quando non è così, con il compromesso che alcune persone con anticorpi otterranno un risultato negativo del test.

 

Ripetere i test

Sembrerà banale, ma i test sierologici possono dare un esito più sicuro nel momento in cui vengono fatti più volte per conferma.

Le possibilità di avere due positivi casuali di fila sono molto inferiori alla possibilità di avere un positivo casuale.

Altrettanto importante può essere effettuare il test più volte sull’intera popolazione di una zona, per monitorarne l’evoluzione epidemiologica, e va considerato che i test effettuati nelle zone con maggiore incidenza del virus sono anche i più accurati proprio perché monitorati con più attenzione.

 

In ogni caso, i test rimangono ad oggi uno degli strumenti più preziosi per il controllo della pandemia. A conti fatti, il più grande ostacolo non è propriamente la precisione, ma il numero di test che vengono effettuati, la portata sulla popolazione. Non è per nulla facile organizzare e finanziare questo tipo di azioni a tappeto, mentre potrebbe essere più semplice realizzare test più accurati.

 

La Redazione di Med4Care

 

Fonti:

 

Per approfondire: