Utilizzo di farmaci off-label nel COVID-19
In questo articolo analizzeremo insieme le conseguenze pratiche ed etiche dell’utilizzo di farmaci off-label durante la pandemia di COVID-19. Inoltre analizzeremo gli effetti negativi di questa situazione di emergenza sulle pubblicazioni scientifiche, un fenomeno chiamato pseudo-ricerca.
Utilizzo di medicinali non approvati
In condizioni straordinarie, tuttavia, è previsto che anche i farmaci non ancora approvati si possano comunque utilizzare sui pazienti. Questo utilizzo compassionevole dei farmaci è previsto nelle situazioni di malattie per cui non esiste una terapia efficace ufficiale.
Di solito questi farmaci sono già approvati per la cura di una malattia diversa dalla quella in questione, o magari sono ancora in via di approvazione. In ogni caso, sono utilizzati in una maniera non prevista dal loro foglio illustrativo (in inglese “off-label”, fuori bugiardino).
I medicinali usati contro il COVID-19: tutti off-label!
Anche la Covid-19 è considerata una malattia priva di terapie ufficiali efficaci. Per questo motivo, in attesa dello sviluppo di nuove terapie, i medici hanno utilizzato e usano tuttora esclusivamente farmaci non approvati o off-label.
Questo è accaduto per tutti i vari antivirali, come il Remdesivir, Favipiravir, Oseltamivir, Lopinavir/Ritonavir, Ribavirin, Atazanavir. Prescritti ai pazienti come medicinali off-label, al di fuori del loro scopo originario.
Altri farmaci usati nel Covid-19 sono totalmente al di fuori del loro fine originale, quali antimalarici, come la clorochina o idrossiclorochina, o anticorpi monoclonali antinfiammatori come il tocilizumab, o ancora alte dosi di vitamina C, o eparina a dosi terapeutiche anzichè a dosi profilattiche.
Ad oggi in Italia, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha permesso l’utilizzo di alcuni medicinali ad uso compassionevole per il trattamento della malattia COVID-19.
- 24/04/2020 – Ribavirina per soluzione inalatoria – Bausch Health
- 15/04/2020 – Solnatide – antivirale (APTETICO)
- 11/04/2020 – Remdesivir – antivirale (Gilead)
- 07/04/2020 – Canakinumab – anticorpo monoclonale (Novartis)
- 02/04/2020 – Ruxolitinib – farmaco utilizzato principalmente contro il cancro (Novartis)
Chi è il responsabile dell’utilizzo dei farmaci off-label nel Covid-19?
È sempre il curante il responsabile dell’utilizzo dei farmaci off-label anche nel caso del Covid-19. La motivazione di questa scelta sta nel fatto che la malattia è sconosciuta. Pertanto la decisione su quale farmaco utilizzare si fonda su minime evidenze riportate dai colleghi e su ipotesi fisiopatologiche tutte da dimostrare che i medici, in autonomia, ritengono valide. Su di esse si basa il razionale all’utilizzo.
Quali sono le implicazioni etiche e le conseguenze dell’uso dei farmaci off-label nel Covid-19?
L’impiego dei farmaci in ossequio ai protocolli della “Evidence-based medicine”
La possibilità per i medici di impiegare farmaci “nuovi”, in sè o nel loro utilizzo, è un fatto inconsueto nell’attività clinica dei tempi moderni.
Di norma infatti oggigiorno per i medici c’è sempre meno spazio di autonomia decisionale nelle scelte soprattutto terapeutiche perché negli ultimi anni in medicina vi è la tendenza sempre più spiccata a lavorare per protocolli.
Quindi il medico di norma nella maggior parte delle circostanze sacrifica il proprio pensiero autonomo: legge ed applica i protocolli, le “linee guida” di comportamento per ciascuna condizione patologica. Solo nella condizione in cui non vi sia una linea guida prestabilita, allora il medico esercita il proprio discernimento e la propria autonomia.
Questo avviene nell’ottica di dare al proprio paziente quello che è lo stato dell’arte della terapia, identificato da conferenze di “esperti” di ciascun argomento. Si chiamano “Consensus Conferences” e si svolgono con una cadenza sistematica o quando vi sono elementi nuovi tali da modificare le linee guida. Gli esperti stilano i protocolli di terapia che a loro volta si basano sulle evidenze scientifiche che emergono dai lavori o studi scientifici che vengono prodotti dai colleghi.
Questo processo di cambiamento si chiama “Evidence-based medicine“, medicina basata sull’evidenza. Un concetto in contrapposizione, in qualche modo, alla medicina “riferita”, quella del sapere tramandato tra i medici di generazione in generazione, senza basarsi su dati scientifici ufficiali.
Quindi di norma negli ultimi vent’anni, da quando si è diffusa la Evidence-based medicine, si è sempre più ridotta la discrezionalità del singolo medico sulle terapie da applicare ai propri pazienti. Se da un lato questo sistema dovrebbe garantire il paziente in merito all’utilizzo della migliore cura attualmente esistente, dall’altro rallenta molto più di prima l’intuizione clinica e la sperimentazione personale, che sono l’anima dello sviluppo scientifico.
Covid-19 genera un cambiamento epocale
L’epidemia di Covid-19 ha generato dei cambiamenti incredibili anche nell’utilizzo dei farmaci off-label.
Dal momento che è una malattia nuova, non esistono linee guida di alcun tipo riguardo quali farmaci utilizzare, quali dosaggi, etc. perché non c’è stato il tempo di studiare in lungo e in largo la malattia, fare gli studi scientifici, le Consensus Conferences e via così.
I medici, senza armi, senza linee guida e con malati gravi si sono ritrovati a dover prendere decisioni di emergenza.
È proprio quando non è presente una linea guida specifica per quella determinata condizione del proprio malato che il medico ritorna ad essere un Medico e cerca, tra le opzioni possibili, la strada migliore a suo parere per il suo malato. Del resto ritrovarsi ogni giorno nella difficoltà di dover curare senza mezzi efficaci stimola a tentare nuove strade terapeutiche.
Si è abusato di tutta questa libertà?
Di sicuro l’assenza di linee guida è stata, per usare un termine forse eccessivo, ma per dare l’idea, una sorta di “parco giochi” per i dottori, che finalmente si sono trovati, pur in condizione di gravissimo disagio, liberi di sperimentare. Per i medici insofferenti alle linee guida è stata l’occasione di non essere più imbrigliati in rigidi schemi. Per i dottori invece che desiderano essere guidati nel loro operato è stato il massimo della confusione, una sorta di stordimento professionale e delle proprie abitudini.
Spesso capitava che il primario del reparto arrivasse al mattino con in mano un blister di farmaci da sperimentare appena ricevuti, felice di poterli “donare” ai propri medici e ai propri malati.
Del resto le istituzioni all’inizio, nel primo mese, non sono state rapide nell’organizzare protocolli di studio sui singoli farmaci, alimentando il sistema di far-west in cui ogni medico e ogni reparto, in assenza di guida, faceva un po’ di testa sua.
Poi è accaduto l’esatto contrario. Le sperimentazioni sui farmaci sono iniziate “a furor di popolo”, o, peggio, a furor del politico di turno. Ricordiamo che la sperimentazione dell’AVIBAN, farmaco, è avvenuta dopo che in rete è diventato virale un video di un farmacista italiano che vive in Giappone, il quale attribuiva a questo farmaco miracoloso la scarsa quantità di casi di Covid-19 in quel paese.
È stato sbagliato tentare nuove strade terapeutiche e “sperimentare” sui pazienti in modo così esasperato? A nostro parere in linea di massima no, perché in assenza di terapie efficaci è lecito tentare altre soluzioni, in particolare nei pazienti gravi. Tuttavia ciò che è mancato spesso è un controllo sistematico delle sperimentazioni eseguite.
Conseguenze della mancanza di una rete di raccolta dati
Purtroppo non esiste ancora un sistema di condivisione dei dati in tempo reale in Italia. Questo significa che i dati dei pazienti devono essere raccolti appositamente per lo specifico studio, e non di routine, con enorme dispendio di energia. Questo grande investimento di risorse non è realizzabile in tempi di emergenza, quando ogni momento è dedicato alla cura degli ammalati e non è possibile raccogliere i dati relativi alla sperimentazione.
La conseguenza è che nella maggior parte dei casi non si è tenuto traccia dei risultati della sperimentazione sul singolo paziente. Ecco perché un medico dice che il farmaco funziona, l’altro dice il contrario. Queste osservazioni sono frutto dell’esperienza personale e non provengono da una abbondante quantità di dati raccolti ed analizzati.
Questi sono appunto i limiti delle sperimentazioni in corso d’opera quando non esistono adeguati sistemi informatici a livello sanitario e adeguate risorse per raccogliere i dati stessi.
Limiti dei consensi informati
Un altro elemento importante che è mancato durante l’emergenza Covid-19 è stato il consenso informato alle cure. Spesso i pazienti si trovavano in condizioni gravi, dentro un casco, provati psicologicamente e non era possibile spiegare loro tutti gli effetti potenzialmente benefici e dannosi delle cure somministrate.
Conclusioni
Abbiamo visto come la pandemia di COVID-19 abbia costretto all’utilizzo di farmaci non approvati, rivelando delle lacune nelle regolamentazioni e nella coordinazione riguardo all’uso compassionevole dei farmaci. In questi casi di emergenza i medici sono stati spinti dalla disperazione a tentare dei trattamenti mai provati prima. L’utilizzo dei farmaci off-label nella maggior parte dei casi è avvenuto alla cieca, senza la possibilità di seguire uno schema preciso e riproducibile.
Nei nostri reparti non guardiamo mai al passato per rivangare gli errori, ma per imparare per il futuro. Quale tesoro informativo ci ha portato l’emergenza? La consapevolezza che solo un investimento in infrastruttura informatica e adeguate risorse sanitarie potrà consentire, in futuro, di affrontare sperimentazioni di farmaci off-label non lasciate alla buona volontà dei singoli, ma gestite in maniera unitaria ed altamente informativa.
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