C’è un’osservazione su cui soffermarci, qualcosa di agrodolce che vogliamo raccontarci. Un’idea che ormai prende piede in tutti noi, a livello più o meno consapevole.
Mai più di oggi stiamo scoprendo che il virus non è di nessuno. Non è dei cinesi, non è italiano, non è straniero. Supera i muri di confine, supera le dogane, supera il blocco dei voli, supera ogni controllo.
Inizialmente ha alimentato la paura del diverso: la paura di un male in arrivo da un popolo in particolare.
Prima è stato il turno dei cinesi, da ostracizzare, da stigmatizzare e bloccare.
Poi è toccato a noi italiani. Ci siamo improvvisamente scoperti noi stessi emarginati, rimandati indietro dalle sedi di vacanza, rifiutati dopo un lungo viaggio aereo. E com’è possibile? Noi, che tutto il mondo fino a ieri stimava e considerava degli ottimi ospiti?
Il virus che abbiamo ridicolmente tentato di arginare con il blocco dei voli diretti dalla Cina ora sta facendo il percorso inverso: glielo abbiamo riportato noi indietro ai cinesi, diffuso da 7 connazionali in viaggio verso oriente.
Ma è soltanto una sensazione passeggera, tranquilli. Saremo in ottima compagnia. Siamo soltanto in una fase del virus anche noi. Prima la Cina, poi noi, seguono gli altri. Ci seguono di circa 1-2 settimane. Ce n’è per tutti.
Improvvisamente ci scopriremo abitanti dello stesso mondo, il virus avrà la capacità dirompente di ricordare a tutti noi, in tutte le parti del pianeta, che apparteniamo allo stesso genere umano, che non esistono differenze di colore, razza, popolo.
Il virus è democratico.
Nazioni Unite.