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Lobotomia

La lobotomia, chiamata anche leucotomia prefrontale, emerge come un capitolo controverso e curioso nella storia della medicina. Ai suoi esordi questa procedura suscitò un grande interesse, promettendo un trattamento per i disturbi mentali che fino ad allora sembravano incurabili.

Tuttavia con il passare degli anni diventò oggetto di critiche etiche e discussioni scientifiche portando infine al suo declino come pratica medica.

In questo articolo la esploreremo a fondo, esaminandone il contesto storico, i risultati ottenuti e le ragioni che hanno portato alla sua fine come trattamento accettabile.

 

Storia della lobotomia

L’origine risale al XX secolo quando, nel periodo tra le due guerre mondiali, la medicina cercava soluzioni per affrontare il crescente numero di pazienti affetti da gravi disturbi psichiatrici.

Uno dei pionieri fu il neurologo portoghese Egas Moniz che nel 1935 introdusse la lobotomia prefrontale. Egli credeva che i disturbi mentali fossero causati da “conflitti intrapsichici” e che tale pratica potesse interrompere le connessioni neurali associate ad essi. La sua idea era quella di ridurre l’attività del lobo frontale attraverso la distruzione chirurgica di alcune di queste connessioni. Grazie a questa pratica vinse anche il premio Nobel per la medicina nel 1949.

La notorietà di questa tecnica crebbe quando il dottor Walter Freeman, un neurochirurgo statunitense, iniziò a promuoverla negli Stati Uniti negli anni ’40 e ’50. Sviluppò una variante semplificata, chiamata lobotomia transorbitale, che richiedeva minori competenze chirurgiche e consentiva l’esecuzione in modo più rapido.

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Inizialmente la procedura suscitò un notevole interesse e ottimismo nella comunità medica, poiché sembrava offrire un trattamento apparentemente efficace per i disturbi mentali. I pazienti che erano precedentemente considerati incurabili o ospedalizzati sembravano mostrare un miglioramento dei sintomi e una maggiore calma dopo l’intervento.

Tuttavia con il passare del tempo emersero preoccupazioni etiche e critiche sulla pratica, giudicata troppo invasiva e con gravi conseguenze. Inoltre si eseguiva in modo indiscriminato su un ampio spettro di pazienti, compresi quelli con disturbi più lievi o con alternative terapeutiche più sicure disponibili.

Gli sviluppi nella farmacologia e nelle terapie psicologiche negli anni ’50 e ’60 portarono a un progressivo declino dell’uso della lobotomia. Nel corso degli anni diventò sempre più rara e infine venne abbandonata come pratica medica nel mondo occidentale.

Oggi non è considerata un trattamento accettabile.

Come si eseguiva la lobotomia? Descrizione della procedura

All’inizio la lobotomia veniva eseguita tramite due incisioni nel cranio attraverso le quali veniva iniettato dell’alcool etilico usato per distruggere le connessioni neurali.

In seguito Moritz creò un oggetto apposito, chiamato leucotomo, tramite il quale venivano interrotte le connessioni del lobo frontale.

Con l’avvento della lobotomia transorbitale si iniziò a procedere con l’inserimento di uno strumento di piccole dimensioni, chiamato orbitoclasto, attraverso l’orbita oculare, manovrandolo per distruggere le connessioni neurali. Questa tecnica poteva essere eseguita in pochi minuti e migliaia di persone furono sottoposte a questa manovra.

Entrambi i metodi miravano a ridurre l’attività nel lobo frontale, ritenendo che ciò potesse alleviare i sintomi dei disturbi mentali. Questi approcci erano molto invasivi e irreversibili.

È importante sottolineare che la procedura era spesso eseguita senza un’elevata precisione anatomica. Le connessioni neurali bersaglio non venivano selezionate con accuratezza, ma erano generalmente interrotte in modo indiscriminato, portando a una serie di effetti collaterali negativi.

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Efficacia ed effetti collaterali

La sua efficacia come trattamento per i disturbi mentali fu oggetto di dibattito e discussione nel corso degli anni.

Inizialmente sembrava essere una soluzione per i pazienti con disturbi mentali gravi e cronici, ritenuti incurabili: alcuni mostravano una riduzione dei sintomi, come l’aggressività e l’agitazione, e una maggiore calma e docilità. Tuttavia questi effetti positivi erano spesso basati su osservazioni soggettive e misurazioni qualitative piuttosto che su evidenze scientifiche solide, ed erano spesso temporanei.

La lobotomia era spesso accompagnata da una serie di conseguenze negative a lungo termine, come:

  • cambiamenti della personalità;
  • riduzione o perdita delle funzioni cognitive;
  • perdita della memoria;
  • apatia emotiva;
  • diminuzione dell’iniziativa;
  • morte.

Inoltre emerse che molti pazienti continuavano a presentare sintomi residui o sviluppavano nuovi problemi, come l’incapacità di gestire le attività quotidiane o di reintegrarsi nella società. In alcuni casi la procedura poteva persino aggravare lo stato precedente o causare complicanze mediche, come infezioni o danni cerebrali.

 

Declino della lobotomia

Il declino di questa pratica medica avvenne grazie a diversi fattori, tra cui:

  • Critiche etiche: sollevò preoccupazioni riguardo alla violazione dei diritti umani e alla mancanza di rispetto per l’autonomia dei pazienti, oltre all’uso indiscriminato che si iniziò a farne.
  • Risultati controversi: molti studi successivi evidenziarono che gli effetti positivi della lobotomia erano spesso temporanei e accompagnati da effetti collaterali negativi significativi. Inoltre il mancato monitoraggio a lungo termine dei pazienti rendeva difficile valutare in modo accurato l’efficacia e le conseguenze della procedura.
  • Avanzamento delle alternative terapeutiche: durante il suo declino emersero alternative terapeutiche più mirate, meno invasive e con minori effetti collaterali. Gli sviluppi nella farmacologia portarono all’introduzione di farmaci psicotropi, come gli antipsicotici, che si dimostrarono efficaci nel trattamento dei disturbi mentali senza richiedere un intervento chirurgico invasivo. Allo stesso tempo le terapie psicologiche basate sull’evidenza, come quella cognitivo-comportamentale, si affermarono come opzioni trattamento valide.
  • Ricerca scientifica e consapevolezza: con l’aumento della ricerca scientifica nel campo della psichiatria e la consapevolezza dei rischi e dei limiti della procedura, la comunità medica iniziò a spostare l’attenzione verso approcci terapeutici più sicuri ed efficaci. Studi controllati randomizzati e revisioni sistematiche fornirono evidenze scientifiche che misero in discussione l’efficacia e l’appropriatezza della procedura come trattamento per i disturbi mentali.

 

 

Lobotomia: in breve

La lobotomia rappresenta un importante punto di svolta nella storia della medicina e della psichiatria. Sebbene inizialmente fosse considerata un’opzione promettente, ha lasciato il segno come un trattamento invasivo e controverso.

Le critiche etiche, i risultati incerti e l’avanzamento delle alternative terapeutiche alla fine portarono al suo declino come pratica medica diffusa. Oggi è considerata un capitolo oscuro nella storia della psichiatria, che ha contribuito a spingere la comunità medica verso un approccio più umano, etico ed evidence-based nei confronti dei pazienti.

Comprendere la storia e l’evoluzione di questa procedura ci invita a riflettere sui progressi compiuti nel trattamento dei disturbi mentali e sull’importanza di adottare approcci responsabili nel campo della salute mentale.