PCR - Proteina C reattiva test

PCR – Proteina C reattiva: cos’è e a cosa serve

Proteina C reattiva (PCR): cos’è e a cosa serve

Cos’è la PCR

La proteina C reattiva è impiegata nella pratica clinica come indice di infiammazione. La PCR è una proteina ematica le cui concentrazioni aumentano notevolmente a seguito dell’insorgenza di un processo flogistico (o appunto infiammatorio). In considerazione di tale caratteristica, rientra nella famiglia delle proteine di fase acuta. Pertanto, il dosaggio della PCR è un esame del sangue in grado di fornire informazioni, seppur generali e aspecifiche, sullo stato d’infiammazione dell’organismo.

 

Storia della PCR

La PCR fu individuata per la prima volta nel 1930 da Tillett e Francis. I due ricercatori riuscirono ad isolarla dal siero di alcuni pazienti affetti da polmonite pneumococcica. Il suo nome deriva proprio da tale scoperta; infatti, essendosi accorti che il peptide ematico dava luogo ad una reazione con l’antigene polisaccaridico C dello Streptococcus Pneumoniae, Tillett e Francis decisero di chiamare la molecola ‘’proteina C reattiva’’.

 

Perché viene prodotta la proteina C reattiva?

L’omeostasi è la capacità degli organismi viventi di mantenere l’ambiente interno in condizione di relativa stabilità. Tuttavia, dall’ambiente esterno possono sopraggiungere degli stimoli in grado di alterare questo equilibrio. Nel corso di un insulto meccanico, chimico o infettivo, l’organismo mette in atto diversi processi che hanno l’obiettivo di ripristinare lo stato di normalità. Il complesso dei cambiamenti locali e sistemici, generati in risposta ad uno stato infiammatorio, prende il nome di reazione di fase acuta.

Il fegato, quotidianamente, è responsabile della sintesi di un vasto di numero di molecole proteiche, implicate in numerosi processi omeostatici. L’esordio di un’infiammazione, segnalato attraverso specifiche citochine, induce l’organo ad effettuare delle modifiche al pattern biosintetico. In questo modo, al fine di contrastare lo stimolo infiammatorio, viene privilegiata la sintesi delle proteine di fase acuta.

Pertanto, in occasione di un processo flogistico, il cambiamento biosintetico del fegato, determina un aumento repentino della concentrazione ematica della PCR. L’interleuchina 6 (IL-6), prodotta dai macrofagi e da altre cellule immunocompetenti, stimola le cellule epatiche (e anche quelle adipose) a sintetizzare un quantitativo maggiore di proteina C reattiva, causando un incremento dei livelli sierici.

 

Il ruolo della PCR nella riposta infiammatoria

La PCR appartiene al gruppo delle pentraxine (o pentrassine), essendo costituita da una struttura proteica pentamerica dotata di 5 subunità identiche. Da un punto di vista funzionale, la proteina C reattiva svolge un ruolo cruciale nei processi che caratterizzano l’immunità innata (o aspecifica).

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Le attività più importanti della PCR sono:

  • Opsonizzazione di batteri, parassiti e detriti cellulari: permette alle specifiche cellule immunocompetenti (macrofagi, granulociti neutrofili…) di riconoscere e fagocitare gli agenti responsabili della flogosi
  • Attivazione della via classica del complemento

La presenza della PCR, dunque, è fondamentale per la rimozione dei patogeni e/o delle cellule danneggiate che, altrimenti, causerebbero un prolungamento della flogosi. Nel corso della fase acuta, la concentrazione nel sangue della proteina C reattiva può aumentare fino a 50000 volte; il fegato inizia il processo di sintesi già dopo 4-6 ore dall’insorgenza dell’infiammazione. Il picco si registra dopo 24 ore mentre il ritorno ai regimi basali giunge mediamente dopo 96 ore.

 

Le proteine di fase acuta: quali sono?

Le proteine prodotte dal fegato in condizioni di normalità vengono definite “proteine negative di fase acuta”. Le più importanti tra queste, sono:

  • Albumina
  • Prealbumina
  • Transferrina
  • Proteina legante il retinolo (RBP)
  • Apolipoproteina A1

Come accennato in precedenza, l’origine di un processo infiammatorio spinge il fegato ad effettuare dei cambiamenti al suo profilo biosintetico. Per contrastare gli effetti della flogosi, quindi, è necessario che venga ridotta la quota di proteine negative di fase acuta, in favore di quelle cosiddette “positive”.

Dunque, in risposta agli stimoli che giungono dai distretti che affrontano l’insulto, gli epatociti iniziano ad esprimere in modo più marcato le proteine positive di fase acuta (o più semplicemente proteine di fase acuta), tra cui:

  • Proteina C reattiva (PCR)
  • Proteina siero amiloide A
  • Fibrinogeno
  • Proteine del complemento
  • Alfa-1 antitripsina
  • Aptoglobina

 

Perché si misura la PCR?

Nella pratica clinica, il dosaggio della proteina C reattiva è un indice di infiammazione. Di conseguenza, qualora il medico sospettasse la presenza di un processo flogistico in atto, può ricorre alla prescrizione di tale esame. Sebbene la PCR sia in grado di fornire preziose informazioni sullo stato d’infiammazione dell’organismo, è anche vero che non offre alcun indizio sulla sede in cui si verifica il fenomeno. Questo limite, intrinseco al test, non consente al medico di effettuare alcuna diagnosi. Pertanto, qualora si riscontrassero dei valori elevati della PCR, per individuare la sede dell’infiammazione è sempre necessario compiere degli ulteriori approfondimenti.

Al netto di tutte le caratteristiche la PCR è impiegata per:

  • Rilevare la presenza di un eventuale processo infiammatorio in corso
  • Valutare l’andamento delle patologie infiammatorie croniche pregresse
  • Osservare gli effetti di una terapia antinfiammatoria

 

Valori normali della PCR

Nei soggetti sani i valori della Proteina C reattiva non dovrebbero superare i 5-6 mg/L. Tuttavia, nelle donne in gravidanza o nei soggetti in età avanzata, si possono rilevare delle concentrazioni maggiori, anche in assenza di processi flogistici.

 

PCR alta

L’incremento del valore della proteina C reattiva può verificarsi in risposta ad un gran numero di eventi fisiopatologici. Le infezioni, le malattie autoimmuni, le patologie infiammatorie croniche, i traumi meccanici e i processi neoplastici sono solo alcuni dei fenomeni che possono determinare un aumento della PCR.

In linea di massima, a determinati intervalli di valori di PCR possono corrispondere determinate patologie. Indicativamente, per l’interpretazione dei risultati, si può fare riferimento al seguente schema:

  • Valori compresi tra 10 e 40 mg/L: processi infiammatori lievi e infezioni virali
  • Valori compresi tra 40 e 200 mg/L: processi infiammatori attivi e infezioni batteriche
  • Valori maggiori di 200 mg/L: infezioni batteriche severe (associata a sepsi) e ustioni estese

 

PCR e VES: quali sono le differenze?

La velocità di eritrosedimentazione (VES) è un altro indice generale d’infiammazione. La VES esprime la tendenza dei globuli rossi a depositarsi sul fondo della provetta e a formare degli agglomerati. Nel corso di un’infiammazione, questa peculiare caratteristica degli eritrociti viene accentuata, proprio a causa dell’aumento della  produzione delle proteine di fase acuta. Al pari della PCR, anche la VES, essendo un indice aspecifico, non consente di ricavare alcuna informazione sulla sede in cui insorge il processo flogistico.

Tuttavia, sfruttando la relativa rapidità con cui il fegato sintetizza la PCR in risposta a degli stimoli, è possibile ottenere delle indicazioni sullo stato generale d’infiammazione quasi in tempo reale. Al contrario, il valore della VES cambia con un tempo di latenza maggiore; ciò implica che la precisione di questo esame risulti nettamente inferiore.

Attualmente, nella pratica clinica si tende a sottoporre i pazienti ad entrambi i test, in modo tale da poter estrarre contemporaneamente più informazioni circa lo stato d’infiammazione generale dell’organismo.

 

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Fonti e note:

  • Ciaccio, Lippi G., Biochimica clinica e medicina di laboratorio, Edises, 2020
  • Nehring SM, Goyal A, Patel BC. C Reactive Protein. 2021 Dec 28. In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2022 Jan–. PMID: 28722873.